Condannato ai lavori forzati per attività sovversive, Dostoevskij visse per quattro anni in un penitenziario siberiano. Da quell'esperienza estrema, fatta di dolore e sopravvivenza, nacque Memorie da una casa di morti (1861), uno dei suoi romanzi più potenti e sconvolgenti.
Attraverso lo sguardo di un detenuto nobile, Aleksandr Petrovic, l'autore racconta la vita quotidiana in una colonia penale della Siberia zarista: il duro lavoro, la fame, la violenza, ma anche l'umanità sorprendente dei condannati, con le loro storie, le loro colpe e la loro disperata speranza di redenzione.
Più che una semplice cronaca carceraria, il libro è una riflessione profonda sulla natura umana, sulla libertà interiore, sul senso del male e sulla possibilità di salvezza anche nel cuore dell'inferno.
Un classico della letteratura russa che ha ispirato Tolstoj, Kafka, Solzenicyn e generazioni di lettori.
«Anche l'uomo che ha il cuore più duro, il più degradato, conserva in fondo all'anima il bisogno di luce, il desiderio del bene.»